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L’evoluzione della professione docente, una vita vissuta paradossalmente

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Il mio intervento al convegno “Professione insegnante: profili giuridici, economici e sociali. Evoluzione o involuzione?” che si è tenuto a Roma il 12 ottobre. Grazie agli organizzatori ed in particolare a  Professione Insegnante e Artedo. 

Durante questa legislatura abbiamo assistito a diversi slogan lanciati all’indirizzo degli insegnanti: non ultimo quello della ex ministra quando, annunciando il concorso, disse: «vogliamo i docenti più bravi del mondo in classe». Peccato però che durante questa legislatura abbiamo spesso trovato provvedimenti che riguardavano la scuola, l’università e la ricerca scientifica, ma con la dicitura “senza ulteriori oneri per lo stato”, o “compatibilmente con le risorse disponibili”.

Allora ribattezzerei  questo convegno col titolo “Professione docente una vita vissuta paradossalmente”. Abbiamo infatti una professione del docente che è sicuramente complessa, articolata e atipica. Atipica perché sappiamo bene che la scuola non può essere certo paragonata a un ente pubblico che eroga servizi strumentali, né a un’azienda che produce prodotti o servizi. La scuola è altro. E quindi le professionalità che in essa operano non possono essere paragonate alle altre professionalità del comparto della pubblica amministrazione.

E’ una professione articolata e complessa, perché associa alla funzione educativa, in qualche modo riconosciuta anche dal contratto, una funzione socio culturale connessa alle numerosissime aspettative che la società ha nei confronti dell’insegnante. Aspettative che sono aumentate in maniera esponenziale, data anche la mutazione rapida della società in cui l’insegnante si trova a svolgere la propria funzione.

Partendo proprio dalla funzione educativa del docente, andiamo a vedere qualche passaggio del contratto collettivo nazionale e a ricordarci, leggo testualmente, che «la funzione docente si fonda sull’autonomia culturale e professionale degli insegnanti  – e qui avremmo molto da dire in relazione alla riforma della Buona scuola del 2015 – si esplica nelle attività individuali e collegiali e nella partecipazione alle attività di aggiornamento e formazione in servizio».

E ancora leggiamo che il profilo professionale del docente è quello «di un educatore e formatore in possesso delle conoscenze e competenze disciplinari, pedagogiche, metodologiche, didattiche, organizzative, relazionali tali da rendere possibile al meglio l’espletamento della propria funzione».

Il paradosso nasce dal fatto che a queste funzioni se ne accompagnano molte altre di tipo socio-culturale, basate su numerosissime aspettative. Ciò fa sì che l’insegnante debba essere anche colui che colma le lacune derivanti dalle carenze di azione e di progettualità di altre istituzioni. Ed è una aspettativa che arriva non solo dalle istituzioni stesse, ma anche dalla società, e  non solo dai genitori, ma anche dalla società nel suo complesso. Come se all’insegnante fosse addossata la responsabilità di andare a colmare queste lacune.

Il paradosso nasce dal fatto che, a fronte di questa richiesta così gravosa ed importante, abbiamo assistito in questi anni ad una scarsa considerazione e ad uno scarso riconoscimento della professionalità dell’insegnante. Di qui la discrasia, in un paradosso fra questi due status. E questo produce frustrazione, perché significa non essere riconosciuti, valorizzati, non vedere le istituzioni compiere adeguati investimenti, anche per sanare concrete situazioni che potrebbero farci cadere in procedure di infrazione da parte dell’Europa.

 

 

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